Domitiana: riflettori sempre accesi grazie agli scatti di Giovanni Izzo
La Domiziana fa ancora parlare di sé. Sarà raccontata dagli scatti del fotografo Giovanni Izzo che da decenni denuncia con i suoi obiettivi il degrado in cui è stato abbandonato il litorale. Una denuncia finalizzata alla riconquista del territorio, alla sua rivalutazione perché lo scempio lasci il posto alle bellezze naturalistiche dei chilometri di spiaggia rovinata dall'abusivismo e dall'indifferenza, perché la malavita non possa più trovare terreno fertile per i suoi loschi affari.
Una denuncia ad oltranza, senza sosta, che ha visto il nome del fotografo in prima linea in questa battaglia per la rivalutazione della zona, rischiando ogni volta che si avvicina ai luoghi ed alle persone, ma riuscendo, comunque, a sollevare il problema anche a livello internazionale, portando i riflettori di media di spessore su quanto è avvenuto ed ancora avviene lungo la Domiziana.
Domani il suo documentario "The Domitiana - everyday organized crime and life" sarà presentato alla John Cabot University di Roma (ore 18,00) in Via della Lungara, 233, 00165, quartiere di Trastevere. "Con la proiezione di fotografie scattate lungo la Via Domitiana, racconta la vita quotidiana della criminalità organizzata, dello sfruttamento, dell'abbandono e dell'abbandono istituzionale nelle zone intorno a Caserta. Le immagini rivelano un lato inquietante della società italiana contemporanea che raramente è visibile al pubblico. La mostra ha viaggiato a livello internazionale e ha ricevuto ottime recensioni da Newsweek, la BBCe molte altre pubblicazioni inglesi e italiane".
Nell'attesa di questo appuntamento stasera, a 'Quarta Repubblica', su Rete4, Francesco Fosso ha presentato un reportage su Castel Volturno: degrado, immigrati, condizioni inimmaginabili di pseudovita per quanti 'vivono' nella città del litorale. Condizioni che possono essere 'raccontate' solo attraverso le immagini di Giovanni Izzo che ha immortalato con la sua macchina fotografica attimi di una vita che viene vissuta ai margini di tutto, di cui diversamente non si sarebbe saputo nulla: sono bastate poche foto per far cogliere agli spettatori le speranze, le attese, le paure, la violenza che imperano a Castel Volturno tra coloro che qui si sono rifugiati o che qui sono costretti a rimanere in attesa di un domani diverso o nella speranza di ricavare guadagni maggiori facendo leva sull'impotenza ed il terrore delle vittime destinate allo sfruttamento, in ogni senso.
Giovanni Izzo sarà, inoltre, ospite, nella seconda decade del mese di Novembre, del Festival Fantasiologico a Benevento (Rocca dei Rettori) con la mostra fotografica "Domitiana finis terrae", dal 22 al 25 novembre, e la proiezione del suo documentario domenica 25 novembre con Rossana Di Poce, Dottore di ricerca in Archeologia "Rapporti tra Oriente e Occidente", collaboratore Corriere del Mezzogiorno, e TG3 Campania, scrive di Napoli e dei suoi luoghi, e si occupa di divulgazione, che presenterà il lavoro di Izzo.
I critici scrivono:
Uno sguardo in viaggio nel tempo
La Domitiana è una linea retta di asfalto nero come pece, lunga cinquanta chilometri. Giovanni Izzo va alla estremità più a meridione, quella del cominciamento, e Cuma diventa l’inizio del suo viaggio (inconsapevole) nel tempo, sogno ellenico e auspicio a strapiombo sul mare blu cobalto di Enea. Qui la fotografia è un graffio sulla retina, un allungamento del suo animo tormentato nel raggiungere l’origine delle cose. Più volte schiva ruderi, scivola sull’erba bagnata di salsedine, ubriaco nel fermare suggestioni, memorie, brandelli di quello spazio che ha contenuto uomini diversi negli anni della Storia. E’ una sequenza filmica, a raso o dall’alto, aggrappato ad una roccia, proteso verso il mare o disteso al suolo nel tentativo di fermare squarci di cielo spuntato tra nuvole congelate dal bianco. Una dolce follia del movimento che ingurgita il mondo e il tempo nel rettangolo della macchina, racchiude schegge di marmo pentelico e cemento graffiato dalla ruggine. E sorride per aver afferrato nelle immagini anche il vento dell’acropoli. Già da lì intravede quello che sarebbe successo. In lontananza coglie il corso del Volturno e la foce che rilascia vomiti di fallimenti politici, la sabbia d’oro che buca il verde della pineta, le giostre di ferro, le case strappate dalle deboli fondamenta, la porosità nera delle facce africane, il vizio della carta moneta impregnata di polvere bianca, lo stagnare di acque a ridosso del profumo di fritture d’alici. Scende velocemente verso il basso a raccontare di mura possenti di tufo recise dalla lamiera di un’auto, di case erette grazie alla sola magia della gravità, di donne bellissime che rivelano appena la propria verità virile schiacciata dall’elasticità di un body maculato. Corre, attraversa, annusa. Scorge tra un doppio filare d’improvvisate case ocra un lastricato che fu sudore dei soldati della Roma imperiale di Domiziano e si affaccia a una grata. Scatta e interrompe l’oblio. Felice, vi ritorna per ricordare ancora, ma questa volta è solo asfalto nero coprente". "Ma quell’acme, insinuato tra abbandono e dismissione di una fisicità urbana in apparente frantumazione, è, di contro, segno di auspicio. Non può esserci ulteriore degrado se non una rinascita, magari diversa dalla precedente ma pur sempre tale. E la fotografia, qui, si fa perfetta traduzione di krisis, incitazione a una scelta diversa e definitiva. La mappa segreta del riscatto è, oltre il tecnicismo, negli occhi di quegli uomini, donne e bambini che, sorridenti e indifferenti alla disgregazione al contorno, illuminano ogni fermo immagine. E la speranza.
Raffaele Cutillo
Domitiana Finis Terrae
La strada lunga, che scurisce anche al sole, sempre pericolosa da attraversare, che separa un mare perduto dalla sua terra infuocata e accecante. Come un bagnasciuga, che porta, lascia e si riporta sabbia e gente. Lo sguardo di Giovanni Izzo attraversa questa strada, come un pericolo e come un raggio scuro di sole. Guardare da ogni parte, mentre si attraversa. Lo sguardo teso di Giovanni Izzo ci porta alla presenza vera dei volti, delle cose, a quella presenza che rimane nascosta da quanto ci si dà a vedere. E’ come un nervo scoperto, dove l’aria arriva e fa male, una pulsione fatta di battere, levare, caricare e premere, senza esplodere. Giovanni Izzo attrae in questo pulsare della mancanza. Un qualcosa che sta per accadere, ma continuamente svapora nel fumo che sale dall’asfalto, nel calore di un sole che non protegge, nel sudore che asciuga, nei gas di scarico che muovono la polvere della strada. Freddo delle panchine all’ombra, piedi che entrano nella sabbia, come petrolio sull’asfalto. Aria di terra e sale di mare, un’aria che fa presto a mancare. E’ l’aria di chi qui vive da sempre e respira l’odore di una storia mancata, di nascite dimenticate, di morti dovute alla memoria lontana e rese al nero del suo lavoro. Passato colposo e futuro non redento, luce dal fondo del mare e buio notturno su tetti piatti di catrame. Come il dolore che lascia una ferita, quella ferita che ogni dolore lascia. Il dolore passa, attraversa e lascia una ferita lunga quanto la strada che ha fatto. Di questa strada lo sguardo di Giovanni Izzo racconta, non taglia, non chiama né ferma, ma dà voce ai tanti racconti che ognuno pensava di aver dimenticato. Sono i racconti attraversati dagli sguardi ritratti, come debole vento di polvere che attraversa e scompiglia la strada, la via della terra che sa di mare e del fuoco che si fa aria.
Lucio Saviani
Leggi qui il curriculum di Giovanni Izzo:
redazione tribuna24
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