A Letteratitudini si parla di uno scrittore del ‘900/Domenico Rea, il narratore di “Nofi”
Comunicato Stampa
Per il primo mese del 2019, lo scrittore Alessandro Zannini ha suggerito di parlare di Domenico Rea, vedrai che ti piacerà ha anticipato alla Maisto, coordinatrice del gruppo.
In effetti dopo le dovute ricerche per conoscere un pochino meglio lo scrittore, si è giunti alla conclusione che Domenico Rea è stato, senza ombra di dubbio, uno dei grandi scrittori del ‘900.
L’incontro è stato programmato per Martedì 29 p.v. alle 19,30 e sono sicura che sarà una delle bellissime serate organizzate da Letteratitudini, anticipa la Maisto.
Nato in una famiglia semi-analfabeta e povera, ultimo di tre figli (dopo le sorelle Raffaella e Teresa), nel 1924 Domenico Rea si trasferisce a Nocera Inferiore, paese dell’entroterra vesuviano e luogo d’origine di suo padre (lui ex carabiniere e la madre, Lucia Scermino, una levatrice). Trascorre un’infanzia “libera”, così come lui stesso ama definirla, impiegando il suo tempo nelle campagne di Nocera, correndo scalzo con gli amici, rubando frutta e verdura. Nonostante la sua predisposizione all’italiano e alla geografia, dopo la licenza elementare abbandona la scuola, seguendo così il suggerimento degli insegnanti e successivamente lascia ogni tipo di studio per motivi economici. Fondamentale però si rivela per lui la lettura di un libro ritrovato per caso in soffitta e appartenuto alla sorella: Il viaggio intorno alla vita di Pierre de Coulevain. Letto da Rea con difficoltà, viene ritenuto infine incomprensibile, al punto che il suo amico Osvaldo, per invogliarlo e facilitargli così la lettura, gli fa recapitare a casa un vocabolario. Rea inizia a leggerlo e cercava di memorizzare quante più definizioni possibili, destandosi in lui una sorta di avidità del sapere.
In seguito, recatosi in una delle tante fiere, riesce ad impadronirsi di due libri: Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis e le Operette morali di Giacomo Leopardi. Proprio tali opere danno l’avvio al periodo creativo del nostro Domenico Rea. Scrivere diventa per lui un qualcosa di vitale al punto che nel 1939, a soli diciassette anni, partecipa ad un concorso letterario bandito dalla rivista<<Omnibus>>, diretta da Leo Longanesi, con il racconto È nato; non vince il concorso, ma Longanesi è colpito dal talento del giovane napoletano e lo invita a continuare a scrivere.
Nel 1944 si iscrive al PCI e diventa segretario della sezione di Nocera. Inizia a frequentare il gruppo di giovani intellettuali che darà vita alla rivista <<Sud>>. Determinante è l’incontro con Arnoldo Mondadorie suo figlio Alberto, avviando con loro una sofferta corrispondenza che precede e accompagna le sue pubblicazioni con la grande casa editrice. Alla fine del 1947 Mondadori pubblica il libro di racconti Spaccanapoli, un grande successo di critica, ma non di vendite. Nel 1948 esce il dramma Le formicole rosse (successivamente rappresentato anche teatralmente con discreto successo), mentre elabora un altro libro di racconti intitolato Gesù fate luce. Si tratta di opere che rimandano agli aspetti più umili e quotidiani della vita napoletana e del Mezzogiorno, nelle quali si confondono realismo e barocco. Nel 1958 è la volta del romanzo Una vampata di rossore, storia di una tragedia familiare e di un’agonia che si dilata per tutta la lunghezza del romanzo. Il libro non viene accolto come Rea spera, né dalla critica né dal pubblico e ciò provoca in lui una crisi. Il suo periodo di silenzio durerà molti anni finchè, nel 1965 vince il Premio Settembrini con una raccolta di novelle intitolata I Racconti.
Nel 1970 Rea diventa giornalista alle dipendenze del Centro RAI di Napoli e collabora a <<Il Corriere della Sera>>. Il libro importante di questi anni è Fate bene alle anime del Purgatorio è pubblicato ancora da Mondadori. Dal 1980, collabora assiduamente con <<Il Mattino>>, per la cui testata scrive alcuni reportage di viaggi. Il 1985 si può considerare come l’anno del suo ritorno: con l’editore Rusconi pubblica Il fondaco nudo, una rielaborazione di racconti e saggi degli anni precedenti. Infine vince il Premio Stregacol romanzo Ninfa plebea.
Domenico Rea è stato uno scrittore irrequieto, gioioso e addolorato, ironico e drammatico, lontano dalla vita politica, non si è mai assimilato a nessuna corrente letteraria, sebbene tutta la sua narrativa possa essere considerata per certe sfumature, neorealista, trattando il disagio ambientale e le ingiustizie, ma certamente Rea non è né Silone né Carlo Levi. In lui convergono classicismo, romanticismo (Boccaccio e Manzoni) e cultura partenopea (Basile, Mastriani, Imbriani).
Una delle sue opere più bella e famosa è senza dubbio “Ninfa plebea” pubblicata nell'ottobre del 1992 dalla Leonardo Editore. L'opera si aggiudicò il Premio Strega nel 1993 e ispirò successivamente il film omonimo, uscito nel 1996 per la regia di Lina Wertmüller. Scritto a più di trent'anni di distanza dal primo (Una vampata di rossore), è il secondo ed ultimo romanzo dello scrittore campano.
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