Al PalArti di Capodrise: “L’oblio, nel gran teatro della memoria”

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Comunicato Stampa

Dal 9 marzo al 6 aprile,  collettiva d’arte con Nicola Liberatore, Massimo Luccioli, Giovanna Donnarumma, Francesco Capasso, Annamaria Natale, Francesca Rao, Maria Gagliardi ed Elio Alfano 

Vernissage: 9 marzo, 18:30

CAPODRISE. L’uno per l’altra. L’oblio è un filo sottile, un confine labile, che retrocede all’infinito verso un inafferrabile orizzonte; un vuoto che inghiottisce la memoria di ciò che non abbiamo saputo strappare dalla forza disgregatrice del tempo. Al contrario, se vi fosse solo la memoria, la vita sarebbe schiacciata, soffocata nell’abbraccio equivoco, per non dire mortale, del tempo passato. Costretti a ricordare! Siamo abituati a pensare che oblio e memoria si escludano; in realtà, l’uno non può vivere senza l’altra, in un eterno rapporto dialettico. Una relazione che non ha soltanto una connotazione binaria, ma sfumature, ambiguità. Un gioco fra le parti inesorabile e infinto. Il mito di Lethe rimanda all’acqua che scorre fra due distinte sponde: il fiume degli inferi, su cui Caronte traghettava anime, che può tanto invogliare tanto respingere il passaggio. Un’acqua che si offre all’oblio erodendo gli argini della memoria, fra dissoluzioni e ristrutturazioni, infrangendosi al suolo, disciogliendo la forma del tempo e rimodellando il precedente, in un forse nuovo e più incerto profilo. È la mutevolezza del ricordo nel suo svanire che accomuna la ricerca artistica di Nicola Liberatore, Massimo Luccioli, Giovanna Donnarumma, Francesco Capasso, Annamaria Natale, Francesca Rao, Maria Gagliardi ed Elio Alfano, che si inoltrano, intrecciandosi con il passato, nell’esperienza artistica del ricordo. Dal 9 marzo al 6 aprile, al Palazzo delle Arti di Capodrise, gli otto artisti, in una collettiva curata da Michelangelo Giovinale, si interrogano su “L’oblio, nel gran teatro della memoria”. Un’indagine nel nostro tempo, fra memorie individuali e collettive, fra incertezze identitarie ed esistenziali, ponendo lo sguardo nell’intercapedine che separa memoria e oblio, rapporto ambiguo tanto complesso che interessa non solo il singolo ma l’insieme di più individui di una collettività, nella frequentazione con il tempo passato e nella relazione con il mondo moderno. La memoria è sempre un campo di battaglia: lascia spazi aperti, di pozioni diverse, in cui si sceglie, come nelle memorie manipolate, di ricordare o di far ricordare qualcosa, e in ciò stesso, di obliare qualcos’altro, ripulendo gli archivi, sovrapponendo, esternalizzando memorie di immagini e di ricordi altri, in un diverso contesto, alternandone lo spazio e il tempo in un amalgama indistinto di vero e falso. «Su di un versante – rivela Giovinale – si colloca la ricerca di Nicola Liberatore e Maria Gagliardi, che si avvalgono del vissuto dei materiali, recuperati al tempo, fra memorie sacre e personali, entrambi manipolandole. Liberatore attraverso antichi tessuti, garze, pigmenti d’oro mescolati in purezza nelle trame di pizzi, veli. Un recupero antropologico, di una memoria che è anche la sua storia, dei suoi luoghi. Gagliardi, attraverso un’anamnesi intima, svelando o obliando reminiscenze personali, cancellando volti su foto di scolaresche d’epoca e, provocatoriamente, riponendo bottiglie all’interno di teche, elementi utili alla conservazione e alla resistenza del logorio del tempo. Di altre materie, Massimo Luccioli, che raccoglie nella sua scultura antiche memorie del passato, arcaiche, di terra e di fuoco, come le polveri rosse della sua Tarquinia, aderendo a pratiche e memorie di antiche civiltà. Fra spiritualità e mito si colloca, invece – aggiunge il curatore –, Giovanna Donnarumma: il suo è un atto creativo che si consuma poeticamente come liturgia di un rito sacro. Un fare arte che diviene esercizio interiore di purificazione, in attesa del “mio ultimo giorno” fra ciò che resta della memoria e del suo passaggio nelle acque dell’oblio. Francesco Capasso, Annamaria Natale, Francesca Rao, ritrovandosi su un unico versante installativo, incrociano linguaggi differenti. Citazioni fotografiche, ritrovamenti casuali di oggetti personali, collage di carte veline. Si muovono fra reperti di memoria, reali e immaginati, in un orizzonte di polveri indefinite, come le opere a parete, dove ambigui profili cromatici disegnano memorie mutevoli di immagini inafferrabili, manifeste di un tutto e un niente. La memoria nel suo passaggio verso l’oblio, come in un setaccio, trattiene qualcosa. Scarti, fra residui confusi di altri. È l’opera di Elio Alfano – conclude Giovinale –, una pittura d’impeto, gestuale. Una memoria intermittente, che restituisce al reale solo parti di un ricordo, obliandone altri, nel fondo bianco della tela». La vera memoria, scriverà Adorno, è quella che apprende dal passato, per evitare che le tragedie possano ripetersi. Viviamo nell’era della memoria selettiva, che impara acriticamente da un tempo passato per assolvere al presente; nell’era meccanicistica delle acquisizioni. Richiamiamo in vita spettri, obliandone altri, con lo scopo di rendere invisibili quelli presenti.