CLAN DA (NON) DIMENTICARE. I ragazzi sulle moto che bloccavano i cantieri mentre si ammazzavano nella guerra tra bande
Raccontare di giovani, in sella ad una motocicletta, che attraversano le strade dell’agro aversano per raggiungere un cantiere impolverato, per minacciare il titolare della ditta che sta realizzando dei lavori, non chiedeteci il perché, ma, a nostro avviso, ha del pasoliniano.
Chi portava o porta ancora ‘imbasciate’, chi ha fatto o fa tuttora il manovale del Clan, forse, per certi versi, assomiglia tanto a quei ragazzi di vita tratteggiati dallo scrittore ucciso ad Ostia nel ’75.
A cantare questi giovani casertani, affiliati o fiancheggiatori dei Casalesi, però, non sono poeti, intellettuali, ma pentiti. Nei loro verbali c’è poca poesia: solo molto sangue, troppa violenza.
La moto, l’intimidazione e compagnia, salvo qualche sporadico episodio, probabilmente, oggigiorno, non sono più in voga. La camorra si è evoluta, per far quattrini si è adeguata ai tempi (di magra) ed usa altri stratagemmi, più fini, non barbari (materialmente), ma ugualmente criminali: quindi, nonostante una mafia meno visibile, commettere l’errore di considerare che il peggio sia passato, che la malavita, grazie a qualche pentimento, sia stata debellata.
“Manifestazioni come queste, giornate come queste, - dichiarò Catello Maresco, lo scorso 21 marzo, nell’aula consiliare di Grazzanise, comune sciolto tre volte per camorra , - possono far pensare (facendo riferimento alle 'sfilate' delle 'personalità' ndr) che il clan dei Casalesi non c’è più, che non occorre più bonificare. Purtroppo non è così.”
Ecco, le parole del pm della Dda, pronunciate nell’ incontro mazzonaro, in occasione della giornata della legalità, nella loro sintesi, dicono tanto: le mafie ed i loro effetti nefasti esistono ancora. In forme diverse, magari, ma ci sono. E fanno male.
Il negazionismo, l’oblio sono mostri da sconfiggere. In provincia di Caserta, fino a qualche anno fa, si sparava, si ammazzava, si chiedeva il pizzo alle ditte non in linea con il Clan. Tutto ciò è stato (e sostanzialmente lo è ancora) reale. Non serve solamente turarsi il naso, non bisogna stancarsi di leggere queste storie o voltare, per debolezza e paura, lo sguardo. Mai. Ricordare è un dovere morale, che costa poco.
Occorre ricordare, ad esempio, ancora adesso, uno dei periodi più bui attraversati dall’agro aversano, quello dei primi anni del 2000, quando c’era in corso una guerra feroce tra Bidognetti ed il gruppo Tavoletta-Cantiello. Le fazioni rivali rispondevano morto su morto, estorsione su estorsione. Sangue sparso appena 13, 14 anni fa.
A raccontare un episodio che va contestualizzato proprio in quella lotta immonda tra bande mafiose è il collaboratore di giustizia Enrico Verde.
Uno stralcio del suo verbale, datato 13 gennaio 2010, è stato recentemente inserito nell'ordinanza, firmata dal gip Colucci, sull'inchiesta “Cpl”, perché faceva riferimento ad un imprenditore coinvolto (ora imputato) proprio nell'indagine sul metano, Claudio Schiavone.
“Sempre prima del 2002, - ha dichiarato il pentito, - ricordo un particolare: Ferraro, di soprannome ‘Spenc’, mandò dei ragazzi su un motorino a bloccare i lavori di un cantiere per la metanizzazione di Villa Literno. Il cantiere apparteneva a Claudio Schiavone, proveniente da Casal di Principe. A seguito di quest’intervento la ditta non proseguì i lavori per un certo periodo. Dopo un po’ di tempo, forse nella stessa giornata venne Bernardo Cirillo a casa mia dicendo che avevano bloccato i lavori al cantiere e che la ditta apparteneva al 50% a ‘Cicciotto e mezzanotte’. Cirillo mi disse che avrebbe mandato una persona per punire Ferraro ‘Lo Spenc’, che adesso ricordo chiamarsi Sergio, addirittura commettendo un fatto di sangue ai suoi danni. Ricordo che venne a casa mia tale Francesco di Marano, che è stato accusato dell’omicidio di un meccanico a Lusciano, che ora che mi dite il nome ricordo chiamarsi Francesco Di Maio, e mi chiese di fargli vedere dove abitava Ferraro dicendomi che lo aveva mandato Cirillo. In particolare mi disse che lui doveva ammazzare Sergio Ferraro, che peraltro all’epoca era in contrasto con la famiglia Bidongetti in quanto affiliato al clan Tavoletta, in particolare si sarebbe presentato a casa del Ferraro dicendo di essere il capo cantiere della ditta Schiavone Claudio e poi avrebbe sparato con una pistola col silenziatore a tutti i presenti …omissis…”
Giuseppe Tallino
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