LA SENTENZA. Effetti dell’inchiesta Medea: dopo l’interdittiva a Fontana il Tar affronta il ricorso del Consorzio Grandi Opere

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Gli effetti di un’inchiesta giudiziaria complessa, capace di  attenzionare aree vaste, che spaziano dalla camorra all'imprenditoria, facendo tappa anche nel mondo-politica, non riguardano solo le aule dei palazzi di giustizia penale, ma, potenzialmente, possono determinare diversi ed importanti effetti collaterali  in altri ambiti.

Prendiamo, ad esempio, l’indagine Medea, realizzata dalla Dda di Napoli: ha inciso su clan dei Casalesi (fazione Zagaria), amministratori pubblici e uomini d’affari. Elementi che, messi insieme, rappresentano un’elevata percentuale del tessuto sociale di Terra di lavoro.

In casi del genere è inevitabile che, parallelamente all’attività della magistratura, si attivino percorsi prodotti da altri organi, come quelli innescasti dalla Prefettura impegnata  ad emettere interdittive antimafia, cioè gesti burocratici rilevanti, che, a loro volta, avviano conseguenziali procedimenti da sbrogliare presso le sedi della  giustizia amministrativa.

L’articolato preambolo serve ad introdurre la recente sentenza che la prima sezione del Tar Campania ha emesso in relazione al ricorso presentato dal Consorzio Stabile Grandi Opere s.c. a r.l., rappresentato dall’avvocato Clemente Manzo, contro la G.O.R.I. s.p.a., tutelata dai legali Massimo Scalfati e Mario Percuolo, l’Antonini s.r.l., difesa da Paola De Nigris, e la GI.AL. s.r.l., società di Anonio Fontana che, però, non si è costituita in giudizio.

L’azione legale intrapresa dal Consorzio Stabile Grandi Opere scaturisce proprio dall’indagine Medea e dalla successiva interdittiva antimafia, emessa dalla Prefettura di Napoli, nei confronti dell’azienda del business man di Casapesenna, il già citato Fontana (indagato).

Il Consorzio, il 16 aprile del 2014, si era aggiudicato un appalto, indetto dalla Gori “per l’affidamento dei lavori di manutenzione, pronto intervento, rifunzionalizzazione, ricostruzione delle reti idriche ricadenti nell’ATO 3 ‘Sarnese Vesuviano’ – Lotto n. 3 (importo di euro 5.684.796,00)" designando quale ditta esecutrice dei lavori la consorziata GI.AL. s.r.l..

Ma il 27 ottobre 2015 la Gori decise di attivare il recesso del contratto proprio con la Gial poiché la Prefettura di Napoli aveva disposto (CLICCA QUI PER LEGGERE) nei confronti della predetta consorziata un’informativa antimafia ostativa.

Tale azioni mise fuori gioco il Consorzio Stabile Grandi Opere, che scelse di fare ricorso. Prima di entrare nel merito della decisione presa dal Tar, il legale Clemente Manzo ha dovuto superare due eccezioni di inammissibilità: la prima ha riguardato la richiesta di presentare l'istanza dinanzi al giudice ordinario. La seconda, invece, è stata avanzata dalla ditta Antonini srl, la quale aveva eccepito l'inammissibilità del ricorso sulla non notifica dell'atto di recesso alla seconda in graduatoria.

Superati abilmente questi ostacoli grazie al lavoro dell'avvocato, è stato consentito al Tar di esaminare nel merito la vicenda: il tribunale partenopeo ha evidenziato come "il gravato recesso contrattuale è stato infatti disposto senza consentire al Consorzio ricorrente di attivare il procedimento di cui all’art. 95 del D.Lgs. n. 195/2011." Ovvero,  "in seguito all’informativa prefettizia emessa nei confronti della consorziata GI.AL., la stazione appaltante G.O.R.I. avrebbe dovuto previamente interpellare il Consorzio Grandi Opere, consentendo al medesimo di esercitare il rimedio sostitutivo di cui al citato art. 95 che, come si è visto, si applica anche successivamente alla stipula del contratto d’appalto."

In sostanza? Il tribunale ha accolto il ricorso presentato dal Consorzio e condannato la Gori a pagare le spese legali.

Giuseppe Tallino