PENTITI IN GIACCA E CRAVATTA. Tolgono la vita agli altri, ma poi pentendosi se ne rifanno una nuova. Fa male, ma i collaboratori servono

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IL RUOLO DEI PENTITI“Non bisogna toccare la legge sui collaboratori di giustizia, altrimenti facciamo cento passi indietro. Tutto quello che siamo riusciti a fare a Napoli, a Palermo, ma anche a Milano, a Reggio Calabria, in tutta Italia […] è stato fatto avendo a disposizione due strumenti: i collaboratori di giustizia e le intercettazioni”.

Sono parole di Antonio Ardituro, pubblico ministero per anni in prima linea nella lotta alla camorra ed ora componente del Csm.

Sono parole che il magistrato, in modo diretto, ha riferito, un anno fa, a deputati e senatori, in commissione antimafia.

Sono parole importanti, che condividiamo totalmente, e che ci aiuteranno a riflettere, in quest'articolo, tra ragione e sentimento, sul pentitismo casertano (CLICCA QUI PER LEGGERE).

LA LISTA. Tener aggiornato il pallottoliere degli ex camorristi che hanno scelto di passare dalla parte dello Stato è complicato (CLICCA QUI PER LEGGERE). Spuntano fuori, fortunatamente, come funghi: il Clan dei Casalesi è in crisi, anche grazie a loro.

Prima Caterino, detto ‘o Mastrone, poi Attilio Pellegrino, e ancora Antonio Iovine, ‘o Ninno, Ianuario, Michele Barone, Bruno Lanza. Sono solo alcuni degli affiliati divenuti, negli ultimi anni, collaboratori di giustizia. Ma l’elenco potrebbe continuare. E’ corposo. E fa parte di questa lista, lunga, iniziata con Carmine Schiavone nel 1993, anche il killer Oreste Spagnuolo,  recentemente intervistato da Giulio Golia de Le Iene.

IL SERVIZIO. “Non sarei riuscito a vivere senza mia moglie e senza mia figlia. […] La galera mi faceva paura. […] I miei figli avranno un futuro migliore, perché nasceranno in un posto diverso da Castel Volturno.”  Sono questi i motivi, spiegati dall’assassino, in televisione, che lo hanno spinto a pentirsi.

L’ex uomo di Giuseppe Setola,  in giacca e cravatta, incappucciato, ha sgranato sinteticamente, a Golia, in un servizio di 25 minuti (CLICCA QUI PER GUARDARLO INTEGRALMENTE), tutta la sua storia criminale.

Ha dichiarato di essere stato un “pezzo di merda” per quello che ha fatto. Ma ha pure detto che, nonostante i tanti delitti compiuti,  “non ha incubi, ripensamenti”.

Solamente un omicidio lo ha destabilizzato, lo ha portato a riflettere sulle dinamiche barbare ed insensate del Clan: quello di Raffaele Granata, proprietario di un lido a Varcaturo, freddato perché suo figlio non aveva voluto pagare il pizzo.

“La moglie ieri sera aveva il marito vicino. L’ha avuto per 40 anni, per 50 anni vicino. Stasera non ce l’ha più, perché?” Riflessioni, interrogativi giusti, umani, che tormentarono Spagnuolo, dopo l’omicidio, per una notte intera.

DALL'ALTRA PARTE. Leggiamo e scriviamo, da un po’ di tempo, ciò che raccontano i collaboratori di giustizia (CLICCA QUI), prima sui verbali e poi in videocollegamento, da località protetta, dinanzi ai giudici dei tribunali.

Abbiamo assistito alla ‘prima’ di Iovine da pentito, al processo Fabozzi. Abbiamo ascoltato Setola ‘cantare’, perché aveva sognato ‘Wojtyla’, e poi rimangiarsi tutto. Abbiamo esaltato e raccontato, sinceramente entusiasti, l’ondata di pentitismo, perché avrebbe rappresentato (e rappresenta tuttora) un’occasione irripetibile per lo Stato di colpire duramente, nel profondo, la mafia casertana.  Soprattutto quando a parlare con la Dda è un mammasantissima e non un gregario dell’organizzazione.

Osservando l’intervista all’ex militante dell’ala stragista Casalese,  mandata in onda, da Mediaset, martedì scorso,  per una volta, però, abbiamo cercato di sederci non dalla parte dei  cronisti cinici, non tra gli inquirenti che adoperano il collaboratore come strumento investigativo. Abbiamo provato, invece, a stare tra i parenti delle vittime di camorra,   per ascoltare quelle parole  con l’animo di una persona che ha perso un padre, un figlio, un fratello, per la selvaggia volontà del Clan.

UN PENTITO IN GIACCA E CRAVATTA. Spagnuolo, un killer, in televisione, in giacca e cravatta. Ha detto che si è pentito perché non poteva stare senza moglie e figli. Ascoltandolo, cosa ha provato chi ha perso un familiare per colpa sua? Cosa hanno provato i parenti dei neri trucidati a Castel Volturno?

Rabbia. Lui è vivo, sta lì, in giacca e cravatta, ha una nuova identità, ma dovrebbe marcire in carcere, al 41bis, perché ha tolto la vita ad altri uomini: ha privato mogli dei loro mariti, figli dei propri padri. Ed invece, uccidendo prima e rinnegando il vincolo mafioso poi, adesso, quel killer può rivedere i suoi cari, può offrire loro una vita migliore, una vita che, al contrario, ha sottratto ad altri.

Si è pentito anche per allontanare la sua progenie da Castel Volturno. “Un posto degradato”, ha detto, “o sei carne o sei pesce”. Un posto, però, che Spagnuolo stesso ha contribuito, non poco, a renderlo “degradato”. Prima distruggi, e poi vai via. Inaccettabile.

Per una persona che ha pianto un familiare, a causa della mostruosa volontà di Setola e dei suoi scagnozzi, è tollerabile, è sopportabile guardare quell’intervista? No. Non lo è.

Una notte corri in strada e vedi un genitore, un amico trivellato dai colpi di kalashnikov.  Un corpo tra il sangue,  sbattuto sull’asfalto. “La morte violenta, - ha detto il figlio di Raffaele Granata, -  ti smembra. Ti senti come se il tuo corpo, una parte, viene qualcuno e te l’ha tolta. Ti manca un pezzo. Ti senti vuoto”.

Immaginate di percepire questi sentimenti. Pensate al dolore, al peso sul cuore, al nodo in gola. E, contemporaneamente, provate ad assistere all'intervista di Spagnuolo.  E’ una prova durissima, l’ennesimo dolore di una vita tragica, contraddistinta da tante brutture.

SERVE ESSERE CINICI. Nonostante la comprensione forte, nonostante l’affetto sincero che proviamo verso chi ha perso una persona per volontà di camorra e la condivisione della sua rabbia, restiamo concordi con Ardituro. Non bisogna cambiare la legge sui collaboratori di giustizia. I collaboratori sono fondamentali. La ‘ndrangheta è fortissima, ancora, anche perché non è scalfita dal pentitismo. E sappiamo che per invogliare capi ed affiliati dei Casalesi a 'cantare' serve fornire loro privilegi, sconti.

La lotta alla camorra deve essere svolta in modo cinico: lo Stato deve usare i collaboratori come strumento per disarticolare la piovra con i suoi tentacoli, che si infilano ovunque.

Lo Stato non può mostrarsi sentimentale, negando abbuoni ad assassini, se questi assassini contribuiranno a mettere in galera loro simili, se questi assassini concorreranno, insieme alle Procure, a ridimensionare le mafie.

“Bisogna fare molto affidamento, - ha precisato Ardituro, - sulla professionalità dei magistrati nel gestire questi strumenti così delicati. Questo e importante. […] Un grande boss che collabora vuole che la collaborazione gli garantisca una vita dignitosa, altrimenti continua a fare il grande boss, sconta il 41-bis e prende 20 mila euro al mese dal clan. Se la collaborazione non garantisce un minimo di decenza, i collaboratori saranno soltanto gli ultimi della scala della criminalità. L'effetto di questa storia è, sempre collegato a quello che le dicevo prima, che continueremo a fare la lotta all'ala militare dei clan, e non avremo più le informazioni su politica, imprenditoria e istituzioni colluse con camorra e mafia. Per questo tipo di indagini, - ha aggiunto il magistrato, - ho bisogno di collaboratori di alto livello, devo essere capace di far collaborare i capi delle organizzazioni. Se faccio collaborare l'ala militare, avrò informazioni militari. Questa è sempre una scelta della politica e non nostra.”

FATELO PER I PARENTI DELLE VITTIME DI CAMORRA. Spagnuolo ha detto che lo Stato vince sempre. Proprio come ha detto Michele Zagaria, nel bunker di via Mascagni, stanato dalla Polizia. No. Non è vero. Lo Stato non ha vinto. Non potrà  vincere finché avrà bisogno dei camorristi pentiti, finché non spazzerà via il grigio, il terzo livello, fatto da insospettabili collusi.

Lo Stato non ha vinto. Lo Stato combatte, sta combattendo. Realizza scelte forte, come quella di concedere sgravi di pena e vite protette a bestie che non meriterebbero nient’altro che pane ed acqua. E lo fa chiedendo ai familiari di uomini uccisi da quelle bestie di sopportare un costo caro, un dolore immondo.

Fatelo per loro, allora. Andate fino in fondo. Che lo Stato vinca, realmente, sfruttando l’ondata di pentitismo, senza tentennare.

Giuseppe Tallino