Ecco cosa dovrà affrontare il nuovo parroco: è una terra da rianimare. Serve coraggio, serve combattere apertamente il male, senza ipocrisie

Corcione Visco

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Essere guida di qualche migliaia di anime rappresenta  la fervida opportunità per concretizzare un obiettivo che dovrebbe essere proprio di ogni persona: rendere sereno ed intenso il suo trascorso e quello dell’altro su questa terra.

Chi ricopre un ruolo di vertice, in una comunità piccola, possiede l’ irripetibile possibilità di trasformarsi  in strumento di progresso benevolo e coscienzioso per il territorio.

Chi ricopre un ruolo di vertice, in una comunità piccola, ha l’occasione di incidere con forza sulle decisive e sottese dinamiche che muovono la collettività paesana.

L’arcivescovo di Capua, Salvatore Visco, dopo giorni di profonda riflessione e consiglio, ha scelto che la potenzialità di influire positivamente sulla società mazzonara sia data a don Giovanni Corcione, giovane prete che, fra qualche ora, ufficialmente andrà  ad assolvere  la mansione  svolta per 57 anni da don Peppino Lauritano.

Viviamo un’era  di carenza civile: la collettività si è sgretolata, si bivacca in un periodo dove la politica non è più rappresentativa, dove chi governa la cosa pubblica raffigura tristemente un 30% (occasionale) dell’elettorato.

La Chiesa ha l’occasione di aiutare, ad alta voce e con fatti reali, una terra che sta morendo, una terra che non sa verso quale futuro dirigersi, una terra attraversata da rovinose regressioni.

Il basso Volturno, incastonato tra l’agro aversano e l’agro caleno, è una landa difficile, brava a nascondersi, ipocritamente, ed incapace di reagire.

Quello tracciato non è un bel quadro, anzi, è uno scenario torbido, brutto, ma, credeteci, non esagerato.

Cosa troverà, quindi, il parroco proveniente da Pantuliano lungo il cammino della sua nuova e complessa missione?

In tanti faranno a gara per dirgli da vicino le cose belle, gli aspetti piacevoli di Grazzanise: certamente le positività gli saranno raccontate da chi con costanza ha occupato la prima fila della Chiesa locale negli ultimi decenni.

A don Ciorcione, invece, noi, in modo estremamente laico e poco elegante (e non potremmo fare diversamente per nostra natura) vogliamo riferire le note dolenti del paese, quei nodi da affrontare, urgentemente, senza ignavia e, all’occorrenza, con piglio duro, perché stanno soffocando i cittadini.

La teoria del bello, dell’esaltazione del buono vale quando si ha piena consapevolezza e pieno coraggio di vedere con limpidezza ciò che è male, ciò che fa male. Intendere il nefasto per deliberare bellezza e misericordia.

Che sia bandita la tecnica dello struzzo. Che si guardi in faccia il male per combatterlo.

Grazzanise ha pianto figli uccisi, ammazzati barbaramente. La storia sociale dei Mazzoni è stata legata (servirà capire se lo è tuttora) a doppio filo con la malavita organizzata, con la camorra.

Il tessuto giovanile  si sta piegando con eccesso  alla droga, che non può essere solo combattuta, come avviene, dalla repressione azionata dall’Arma dei Carabinieri, ma deve essere affrontata anche da chi, con cuore sincero, chiaramente dica e spieghi che la droga è male.

Grazzanise è un paese diviso, individualmente frazionato.

A Grazzanise non si sorride più con leggerezza.

Grazzanise non ha bisogno di eroi, ma di punti di riferimento, di uomini semplicemente coscienziosi, che prendano posizione dopo un ascolto attento delle grida del popolo.

Il chiudersi nel palazzo, il voler percepire una realtà filtrata da chi ambisce a far da spola, presuntuosamente e con le mani dietro la schiena, tra la tangibilità del marciapiede e  l’istituzione imporporata, non ha mai smosso le coscienze, non ha mai creato progresso né dell’anima singola né della comunità, che di anime pullula.

Credeteci, sono discorsi, questi, che prescindono dalla fede:  la Chiesa può rappresentare una risorsa per i Mazzoni.

La Chiesa, oggi, deve rappresentare una risorsa per i Mazzoni,  perché gli altri enti, solo teorici collanti sociali, si sono arresi, sono assenti, vuoti, poveri.

Serve una Chiesa inclusiva,  unita, una Chiesa che non solo si fatta di parole,  una Chiesa che faccia pratica, che sia pragmatica, che vada fisicamente casa per casa per mostrare l’alternativa, per dimostrare che è sempre possibile scegliere il bene.

Affidiamo, con quest’articolo, tanto (forse troppo) peso alla Chiesa: però siamo costretti a farlo, adesso, perché, dopo mezzo secolo, è finalmente attraversata da un fisiologico ed inevitabile cambiamento.

Serve cogliere  l’occasione: perderla? Significherà prima il rimpianto e poi la fine.

Giuseppe Tallino