Arienzo: Uno scrigno d’amore le “Tozzole” di Don Perrotta

PERROTTA-DON-FRANCESCO-Maggio-2022

  • Stampa
  • Condividi

Comunicato Stampa

Maggio 2022, nel 69° del suo Ministero sacerdotale, l’Arciprete/Storico, a 92 anni, dona agli Amici

  La narrazione cult di uno straordinario percorso umano e spirituale radicato nella sua Arienzo

ARIENZO (Raffaele Raimondo) – Autentico “amante di Gesù”, garbato “fratello del prossimo”, saggio come può esserlo un uomo di 92 anni, incline ad un umorismo semplice quanto severo custode e testimone del Vangelo, forbìto latinista e storico scrupoloso, autore di tanti studi monografici sovente dedicati alle vicende antiche e recenti di Arienzo (dove nacque il 1° dicembre 1930) e al territorio circostante: questi, in estrema sintesi, i tratti peculiari di don Ciccio Perrotta che il 31 maggio di quest’anno del Signore 2022, nella ricorrenza del suo 69° anno di limpido e generoso sacerdozio, dona “Tòzzole” agli Amici, “ex corde”.

“Tòzzole”, nel momento stesso della pubblicazione, è già magicamente un libro cult, giacché reca una stupenda narrazione di uno straordinario percorso umano e spirituale densa di rievocazioni e meditazioni scritte con la sapiente penna di chi incarna e attualizza esperienze e slanci sempre nuovi, ma costantemente connessi alle Sacre Scritture.

11-18Durante la vita il Signore mi ha fatto dono di numerosi amici. Amici ‘certi’, perché passati nel ‘crivo’. ‘Amicus certus in re incerta cernitur’: così l’incipit della prefazione, in cui assicura come “autentiche” le “pagine” del volume, magari riducendole, per sincera modestia, a “sciocchezze; anacronistiche ‘tòzzole”, cioè quei pezzi di pane tanto valorizzati nella civiltà contadina di un tempo vissuto da don Ciccio, bambino protagonista o testimone, osservando con innocente letizia come povertà e valori vicendevolmente si coniugavano. Del resto – si chiede l’Autore – “ma pure queste (le tozzole-ndr) non sono saporite, quando uno s’ more ‘e famm?”. Ulteriormente illustrando i nobili motivi cha han dato vita al libro, egli spiega che l’Onnipotente, in tantissimi anni, ha chiamato a Sé molti degli amici che con lui un tratto, comunque significativo, di strada han percorso. “Per questo ho pensato: perché non consegni a quelli che sono restati, ai quali continui a voler bene, le tue riflessioni, amarezze, gioie, speranze, delusioni, certezze che, al contatto con la realtà, con la parola di Dio, hai provato e ancora vivi?”: ecco il nucleo centrale del dono! A chiusura della prefazione don Ciccio cita Sant’Ambrogio (“Condimentum ciborum est appetitus”) aggiungendo: “E Gesù non raccomandò, dopo la moltiplicazione dei pani, di raccogliere le tozzole? Amici, Vi voglio bene. Habete me excusatum!”.

Lucidamente l’Autore parte ricordando le principali “tappe” della sua vita: dall’ordinazione sacerdotale del 31 maggio 1953 (“O Maria, Madre della mia immolazione, rendimi ostia santa immacolata, accetta a Dio”) ai nostri giorni. E l’appassionato revival si nutre, pagina dopo pagina, di elementi empirici sottoposti alla lente benèfica di innumerevoli stralci di letteratura biblica. Il lettore può rivisitare, dunque, anche in termini introspettivi, una testimonianza tradotta in magistero, tanto umile quanto incisivo. Ed è un tripudio di lodi al Creatore e a tutte le creature incontrate da don Ciccio nella sua longeva esistenza, ancòra adesso zampillante di novità, fervore, solidarietà, perdòno,

sicché “Tòzzole” si rivela, fino all’ultimo, uno “scrigno d’amore” offerto a tutti e tuttora capace di dissetare uomini di buona volontà, cristiani smarriti in questa tremenda epoca secolarizzata e non credenti rispettosi delle persone che hanno e sostengono il dono della fede religiosa.

Spiccano, naturalmente, i paragrafi dedicati al Santo Natale, alla festosa Domenica delle Palme12-21 che precede l’immensa felicità della Santa Pasqua di Resurrezione, all’Ascensione di Gesù al Cielo (Vado ma resto). Ma non sono secondari i racconti di episodi verificatisi nella terra natìa, della missione assegnata dal Redentore alla Chiesa cattolica (Corpo mistico), i ricordi di personaggi di grande statura (S.Giovanni XXIII, Charlie Chaplin…) e dei “fratelli” (Angelo, Raffaele…) che esitano nelle morse delle forti prove e che si sentono interrogati su Chi davvero sia, per ciascuno di loro, il Figlio dell’Uomo.

Don Ciccio – memoria di ferro (indispensabile per le sue religiose recitazioni anche in vernacolo) e tenerezza d’infante (riconoscibile già nel suo tono bianco di voce) – riserva le conclusioni alla debolezza e alla dignità della natura umana – “chiamata (=Ecclesìa) a partecipare ontologicamente la vita e la santità stessa di Dio e, nel contempo, a sperimentare esistenzialmente la fragilità del peccato” – poi sfociando, fra atterraggio ed ascesi, nel sublime “Himni Tributum” all’Akathìstos, la Vergine Maria, che in Oriente si cantava in piedi per salutare la Madre di tutti i popoli e Madre nostra, alla quale in questo mese di maggio si dedica il quotidiano Rosario, “catena dolce che ci unisce a Dio” cui si dà “l’ultimo bacio della vita che si spegne”. Attenzione, comunque, perché l’epilogo esistenziale, per l’Autore, è tutto da venire: la sua giovinezza perenne, infatti, fa prevedere tanti altri anniversari di sacerdozio e nuovi libri da scrivere!