INTERROGATIVI SCOMODI. E’ opportuno che l’assessore Raimondo, condannato dalla Corte dei Conti, resti in carica?
Ricordate quando, durante la campagna elettorale per le amministrative 2015, chiedevamo (dalle pagine di un altro giornale), a tutte le compagini in corsa per governare Grazzanise, di confrontarsi pubblicamente sul delicato e preoccupante trend di scioglimenti che ha colpito il paese in 30 anni?
Quel dialogo, che avrebbe dovuto scandagliare i motivi delle infiltrazioni mafiose in comune, istruendo, diciamo così, affinché la storia non si ripetesse mai più, non si è mai tenuto.
L’attuale maggioranza (tranne Teresa Cerchiello, che, già nel giorno successivo agli arresti affrontò il tema) non ha proferito pubblicamente una parola in merito alla complessa operazione dei militari dell’Arma guidati dal comandante De Santis.
E per carità, non ci vengano a dire che bisogna aspettare le sentenze per intervenire: la politica, considerata l’emergenza morale di quest’epoca, deve avere altri tempi, deve avere altro coraggio, deve prendere posizioni nette, processi a parte, soprattutto quando le indagini della magistratura riguardano le azioni amministrative.
Vi annoiamo, è vero: sono concetti già espressi, tuttavia, fidatevi, meglio ribadirli: la sostanza è che (quasi) tutta la politica grazzanisana non ha voluto parlare delle ingerenze della camorra in comune.
In attesa che l’attuale maggioranza risponda almeno all'interrogazione di Nuovi Orizzonti [e magari anche all'interrogativo suppletivo (CLICCA QUI PER LEGGERLO) aggiunto da noi, sulla sospensione, del 2009, della gara per il collettore], oltre alle fratture interne (CLICCA QUI PER LEGGERLE), già raccontate, che attraversano disarmoniosamente L’Unione, sulla squadra guidata da Gravante è piombata un’altra tegola. Quale?
La sentenza, di primo grado, riguarda una condotta del socialista risalente al periodo nel quale sedeva nei banchi del Consiglio Provinciale diretto da De Franciscis. Col comune, dunque, ‘sta sentenza non c’entra nulla? Ni.
L’art. 248 comma 5 del Tuel dice che: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale nè alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione.”
Leggendo attentamente si capisce che, un politico, se becca una stangata dalla giustizia contabile, praticamente, per dieci anni, non può candidarsi.
Il senso della norma è questo: tu amministratore seI stato condannato per una condotta “dolosa o gravemente colposa”, allora, per due quinquenni, non devi aver nulla a che fare con la cosa pubblica.
E se la sentenza viene inflitta a chi è in carica già? Cioè a chi ricopre, al momento del verdetto, il ruolo di assessore, revisore e compagnia cantante?
Su questo punto, a quanto pare, c’è un vuoto normativo: il Tuel non ne parla.
Ed è proprio in tali circostanze che subentra l’opportunità, quella variabile che, almeno in politica, dovrebbe essere decisiva, fondamentale e stella parola dell’etica.
Al di là di ciò che dice il Tuel, è opportuno che un amministratore, nel caso mazzonaro parliamo di Giuseppe Raimondo (ma potremmo estenderlo anche all'odierno presidente della Provincia, Angelo Di Costanzo), condannato in primo grado (con verdetto non passato in giudicato) per fatti relativi proprio alla gestione di un ente pubblico, continui a ricoprire la carica di assessore?
Il sindaco Gravante, il suo vice Vaio, gli altri consiglieri, hanno realizzato questa riflessione?
Sono interrogativi scomodi che l’opposizione dovrebbe porre. Come avrebbe dovuto porre con più forza (almeno per i nostri standard) quelli sulle recenti scelte gestionali dell’ufficio tecnico ( e di tutta la macchina amministrativa), sul mancato riconoscimento dato ai militari dell’Arma della locale stazione, sull'assenza di un confronto, storicamente necessario, e sui 3 scioglimenti che hanno marchiato il paese a vita.
L’opportunità, però, va ad intrecciarsi anche con il cinismo, con l'utilità politica: Giuseppe Raimondo, al quale auguriamo che possa superare i suoi problemi con la Corte dei Conti, è già in una posizione quasi isolata in maggioranza. Ma se dovesse partirgli la brocca e decidere spontaneamente di abbandonare la barca, quel 29,96% che ha fatto vincere L’Unione, di fatto, si assottiglierebbe ancor di più: ed in quel caso, un’amministrazione supportata da neppure un terzo degli elettori, quale legittimità popolare avrebbe per governare? Nessuna. Solo quella di una legge che dà la maggioranza dei seggi a chi, 13 mesi fa, ha preso il 29,96% dei voti.
Giuseppe Tallino
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